giovedì 26 febbraio 2009

VOLTARE PAGINA NEL MONDO DEL LAVORO CON LA COGESTIONE

Con tutta franchezza, speravamo che verso la fine di febbraio la nostra attenzione potesse essere dedicata ai primi, concreti, segnali di ripresa economica e di uscita dal tunnel della profonda crisi che stiamo vivendo e, tuttora, siamo convinti, forse per un innato senso dell’ottimismo, della solidità degli istituti bancari italiani e della loro potenzialità.
Invece, prende sempre più corpo l’esigenza, difficilmente procrastinabile, di aiuti statali alle nostre banche che, almeno si spera, avranno come conseguenza la salvaguardia dei livelli occupazionali, la ripresa dei finanziamenti alla piccola e media impresa, in modo trasparente e responsabile, ed una effettiva moralizzazione del sistema con un tetto alle retribuzioni dei manager, basate su sicuri obiettivi di lunga durata.
In effetti, l’aumentato rischio del prevedibile aggravamento del default finanziario nei paesi dell’est Europa, entrati in una fase altamente critica con inevitabili conseguenze per gli affari in loco delle banche dell’occidente europeo, ha maledettamente complicato tutto, penalizzando ulteriormente colossi come Unicredit e Intesa, ed allontanando la possibilità di una ripresa che, a questo punto, difficilmente avverrà nell’arco di qualche mese.
D’altronde, se si investe in mercati di Stati che non hanno solide basi politiche, finanziarie e sociali, non bisogna essere laureati alla Bocconi per comprendere come, poi, andrà a finire.
Questa tragica esperienza deve, però, rappresentare una svolta nell’intendere il ruolo del capitalismo nella società e nel mondo della produzione, che non potrà più essere come prima.
Il sindacato deve pretendere dei paletti allo strapotere del grande capitale, affinché le banche non potranno più agire con fini esclusivamente speculativi e di solo lucro, ma si dovranno dare, essenzialmente, degli obiettivi di sviluppo socialmente compatibile, di sana crescita e di solidarietà.
In questo possibile scenario è altresì necessario favorire la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, come peraltro indicato dalla direttiva sulla Società Europea, realizzando la Cogestione.
Perché soltanto l’inserimento dei dipendenti nei vari consigli di gestione può garantire solidi processi industriali di ampio respiro temporale, dato che il dipendente ha l’interesse primario che la propria azienda si rafforzi nel tempo; proprio il contrario di quello che esige l’anonimo investitore che, invece, vuole soltanto speculare sulla pelle altrui e, questo, non potrà più accadere se realizzeremo, finalmente, la nostra “terza via” per lo sviluppo partecipativo dell’economia nazionale, in armonia con quella mondiale ma senza alcuna sudditanza e, almeno nel vecchio continente, con una strategia veramente unitaria.
Questo è il futuro che vorremmo costruire, questa è l’alternativa sociale che proponiamo.
(dal sito UGL Nazionale)

giovedì 12 febbraio 2009


Riforma della contrattazione: nuova strada al recupero dei salari

La crisi economica che investe tutto il mondo ed il nostro Paese non deve essere pagata dai lavoratori. Non è uno slogan ma un impegno di tutti, a partire dal sindacato, di fronte ad una catastrofe che fa giustizia di quanti ci hanno ripetuto che la ricchezza non dipendeva dal lavoro ma dalla finanza. I governi sono chiamati a fare scelte forti, ad invertire le politiche liberiste degli ultimi venti anni, a stabilire nuove regole che impediscano il riproporsi di simili situazioni. Servono ammortizzatori sociali per tutelare chi rischia di perdere il lavoro ed una politica industriale che sostenga le piccole aziende alle prese con la crisi del credito.

Occorre impedire che si inceppino le filiere dell’agroalimentare o dell’auto, che collassino i distretti industriali, grandi motori del nostro export.

L’accordo se tutti i sindacati sapranno interpretarlo, rappresenta una grande opportunità, per i lavoratori e per le lavoratrici.

L’accordo del 22 gennaio:

  • supera la logica dell’inflazione programmata (in base alla quale il governo, con il Dpef, stabiliva quanto potevano crescere gli stipendi e le pensioni); incentiva anche fiscalmente la contrattazione di secondo livello, con una quota di partecipazione anche a chi non ne beneficia;

  • il contratto nazionale resta il perno di tutte le tutele, come l’UGL da sempre chiede;

  • spariscono le una tantum: gli aumenti avranno valore dalla data di scadenza del contratto, senza “sconti” per le imprese;il ruolo delle parti sociali esce rafforzato: non più sottoposto a una politica dei redditi fallimentare, se è vero che gli stipendi delle lavoratrici e dei lavoratori italiani sono i peggiori tra quelli dei Paesi industrializzati e che l’inflazione programmata non ha salvaguardato, sotto nessun governo, il potere d’acquisto di pensioni e salari.
Oggi possiamo predisporre piattaforme economicamente più avanzate e più vicine, sotto il profilo normativo, alla realtà dei luoghi di lavoro.

E’ su questo che ci dobbiamo confrontare con le altre Organizzazioni sindacali.

E’ su questo che dobbiamo discutere nelle assemblee. La demagogia serve solo a creare nuove fratture, adapprofondire divisioni che prescindono dal merito, che mistificano la storia. Storia che è molto semplice: basta leggere la busta paga.

Deve restare così o possiamo cambiarla?